Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
Troppo bello per essere vero
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 210, p. 3
Data: 4 settembre 1955


pag. 3




   Io sono così ridicolmente fatto che buona parte della mia infelicità proviene dal pensiero dell'infelicità degli altri. L'immaginata visione di quei depositi e serbatoi di dolore che si chiamano ospedali e carceri mi fa profondamente soffrire, tutte le volte che mi viene dinanzi alla vista interiore.
   Penso ai reclusori e agli ospedali che sorgono fitti in tutte le contrade della terra e mi par di vedere — e realmente vedo con gli occhi della fantasia — quei milioni e milioni d'infermi nel corpo e nell'anima, quegli infelici piagati, straziati, intossicati, segregati, torturati, ossessionati dall'idea della liberazione che, per molti di loro, sarà la fuga dentro la bara dei poveri.
   Sono malati e carcerati di tutte le razze, di tutte le nazioni, di tutte le età, feriti nella carne o infetti nell'anima, tutti rinchiusi, tutti accasciati, tutti dolenti, forse tutti innocenti. Li teniamo divisi da noi in tetri edifici lontani dalla nostra vista, per non essere rattristati dalla loro tristezza, per non sentire i loro gemiti, per non vedere i loro visi color fango o sego, i loro occhi supplichevoli o torvi, le loro mani tremule di morituri, le loro mani setose di assassini. Sono milioni e milioni e tutti patiscono, tutti piangono e pochi li compiangono.
   Io vorrei che gli ospedali fossero palazzi ariosi e luminosi, che le stanze per i malati meno gravi e per i convalescenti fossero piene di fiori e di opere d'arte, allietate ogni giorno da cantanti e da musici, da recitatori di soavi poesie e di prose armoniose, da fanciulle e giovinette sane e gaie che recassero in dono agli sventurati giacenti fiori di campo, sorrisi di giovinezza e canti d'innocenza. Non bastano per curare e sollevare i malati i medici e le medicine, i frati e le suore, gli assistenti e gli infermieri, ma ci vuole luce di sole, allegria di colori, conforto di bellezza, balenamenti di gioia, voci di speranza e di grazia. E tutto questo manca in quasi tutti gli ospedali del mondo, dove pare che si faccia apposta per accrescere la mestizia dei mesti, la paura dei paurosi, l'umiliazione degli umiliati.
   E vorrei che le prigioni non fossero più grigi inferni consacrati alla pena e alla vendetta ma luoghi di cura per quelle terribili malattie dell'anima che sono la crudeltà, l'odio, l'invidia, la cupidigia, la mania sadica del sangue, della distruzione e della morte.
   Queste semplici verità, ispirate dalla misericordia, questi fantastici desideri dettati dal cuore, queste visioni consolatrici disegnate dalla saggezza, colorite dalla pietà, sembreranno ingenui sogni di uno spirito semplice, stravaganze intempestive di un poeta allucinato. Ci vorranno chissà quanti secoli perchè diventino realtà della pratica e trionfi dell'esperienza.


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